Ospite della terza diretta Instagram sui canali di TuttoSerieD è stato il calciatore del Campodarsego, Cristian Pasquato. Con lui abbiamo parlato di passato, presente, ma soprattutto futuro, con lo sguardo rivolto al calcio post COVID-19.
Cristian è stata una giornata particolare per il mondo del calcio italiano: la Lega ha deciso di far riprendere il professionismo e al contempo di fermare il dilettantismo. Scelta saggia?
Quando è uscito il verdetto ufficiale mi stavo allenando, per cui mi sono informato solo in un secondo momento con i miei amici. Come in tutte le cose, qualcuno non sarà mai felice. Magari il professionismo ha più soldi e più possibilità di attuare tutti i protocolli che bisogna seguire, mentre in Serie D tutto questo è sicuramente difficile.
Secondo te, quando i rappresentanti della Lega si riuniranno, su quale fronte verterà la scelta in merito agli esiti di questo campionato?
Sinceramente non vedo tantissime vie di fuga. Magari si potrebbe ripartire facendo i Play-Off, ma in questo caso quante e quali squadre inserisci? O magari si potrebbero far salire direttamente le prime nove, ma qualunque scelta verrà presa, credo ci saranno dei malcontenti da parte di molti. Noi fortunatamente partiamo da una posizione di privilegio essendo primi, in ogni caso prenderemo qualsiasi scelta che verrà fatta da parte della lega. Bisogna assolutamente ripartire, figurati che non giochiamo da febbraio. Quando potremmo rigiocare, partiremmo tutti dallo stesso livello di condizione fisica. Noi dilettanti abbiamo provato a fare i professionisti durante la quarantena allenandoci in video-call, ma chiaramente allenarsi cercando di sollevare pesi, ma alla fine sollevare una bottiglia di coca cola, beh, si viene a creare una situazione paradossale. I professionisti hanno i mezzi e le strutture, noi purtroppo no!
Tu sei stato molti anni nel mondo del professionismo, secondo te quale potrebbe essere una riforma del dilettantismo per tutelare voi calciatori?
Molti ragazzi di Serie D sono impegnati quasi tutti i pomeriggi, quindi paradossalmente non possono nemmeno lavorare per cercare di arrotondare il proprio stipendio. Molti hanno famiglie dietro, quindi fanno leva sui soldi guadagnati dietro il mondo del calcio. Nel professionismo i calciatori sono tutelati, mentre qui se un presidente decide di non pagarti può farlo. Noi fortunatamente abbiamo una società sana, non ci è mai mancato nulla.
Cristian, inizi la tua carriera da giovane calciatore nel settore giovanile del Padova, come è stato l’approccio in questo mondo?
Si, ho fatto solamente un anno di scuola calcio lì a Padova. Poi sono andato al Montebelluna, dove ho passato sette bellissimi anni. Per altro quest’anno l’ho incontrata da avversario, diciamo che è un club che in passato ha sempre messo in risalto il proprio settore giovanile. Successivamente un osservatore della Juventus mi ha portato nel loro settore giovanile, è stata una scelta bellissima ma allo stesso tempo molto difficile, perchè sono partito da solo senza la mia famiglia. Il ricordo più bello la vittoria dello scudetto con gli allievi e la conquista due anni dopo della Supercoppa Italiana con la primavera contro l’Inter, dover per altro ho messo il mio zampino segnando. La Juve per me è stata una macchina di vita!
Nel 2008 il tuo esordio in Serie A, esce Alex Del Piero ed entra Cristian Pasquato. Raccontaci le emozioni di quegli attimi.
Parto dal presupposto che non mi aspettavo di subentrare in quella partita, ma lo speravo tanto. E’ stato il coronamento di un sogno, ero a bordo-campo e mentre Del Piero usciva fremevo. L’unico ricordo negativo è di aver giocato solamente per 30 secondi, ma è stata comunque un’emozione unica. Peraltro quel giorno entrai al posto di un campione, una persona positiva, un punto di riferimento per me e per tutti gli altri giovani. Devo ringraziare anche mister Ranieri per avermi fatto subentrare, una persona simpatica che ti aiutava qualsiasi cosa chiedessi. Ricordo un aneddoto, a fine allenamento calciavo delle punizioni e lui si avvicinò a me dicendomi “Guarda dove vuoi tirare il pallone, poi non guardare più, la palla andrà lì”. Subito dopo ho provato a fare come mi aveva detto e ha funzionato! Grande allenatore sicuramente.
Successivamente prestiti ad Empoli, Triestina e Modena.
Sono state le mie prime esperienze nel professionismo, seppur fossero realtà completamente diverse. Ho volto fortemente l’ Empoli ma lì giocavo poco, non ero al centro del progetto. Sono passato a Trieste ed è cambiato tutto, era una realtà che puntava a non retrocedere e mi ha dato tanto. Sicuramente la mia stagione migliore l’ho fatta a Modena, scendendo in campo 40 volte e segnando 9 reti: annata pazzesca! Ho un ricordo bellissimo della città e dei tifosi, ci tornerei volentieri.
Raccontaci della tua esperienza a Torino sponda granata, i tifosi come l’hanno presa?
I tifosi di ambo le parti non l’hanno presa bene. Ho esordito dopo 3 mesi a causa di un piccolo infortunio all’occhio e l’ho fatto nella roboante vittoria contro il Gubbio. Ricordo di avere la maglia numero 77 e di essere entrato al minuto 77, e lì appena entrai ci fu una bordata di fischi mai vista, pazzesco! Dopo 30 secondi feci goal, un disastro perchè la curva continuava a fischiarmi, mentre il resto dei tifosi applaudivano. Il destino ha voluto che feci un assist subito dopo. Ricordo che al mio goal tutti i miei compagni mi vennero ad abbracciare, pure Rolando Bianchi che era uscito zoppicante. I tifosi il giorno dopo vennero da me e si scusarono. Torino è stata una scelta lavorativa, vedevo lì un’opportunità di vincere in campionato: non ci ho pensato due volte ad accettarla.
Dopo il Torino, l’Udinese acquista il 50% del tuo cartellino e vieni girato in prestito al Bologna. Come sei stato in Emilia?
A Bologna ho avuto la fortuna e il piacere di giocare con Diamanti e Gilardino, due persone umilissime. Bellissima esperienza in Coppa Italia contro il Napoli, eravamo 18 ragazzi contro una grande squadra di titolarissimi e vincemmo 2-1, ricordi indelebili. In quella stagione oltre il goal al Napoli, ricordo con molto piacere i goal contro la Roma e il Cagliari nel finale di stagione. Mi sono divertito a Bologna, lì sono stato veramente bene.
Successivamente esperienze in prestito a Padova e Pescara.
Si, ho fortemente voluto tornare a giocare a Padova, città in cui sono nato. Purtroppo ho beccato un’annata pessima, nonostante avessimo una squadra forte siamo retrocessi e siamo falliti. Sono stato bersagliato dopo la retrocessione, ma ci sta, fa parte del gioco. Successivamente passo a Pescara, ho ancora i brividi a parlare di quella squadra. Lo stato Adriatico era sempre pieno, i tifosi ci spingevano al massimo. Raggiungemmo i Play-Off entrambi gli anni, nei primi fummo sfortunati, nei secondi, invece, ci siamo riprendemmo quello che ci avevano tolto la volta precedente. Pescara per me è stato l’ambiente perfetto. Tornerei di corsa in questo club, mi sono innamorato della città e del club.
Dopo qualche anno arriva anche il tuo esordio in Champions League con il Legia Varsavia.
Bellissimo, anche se purtroppo non siamo riusciti a qualificarci. E’ stata una bella esperienza con il Legia, ma adesso che sono a casa posso dirlo, sono stato un pazzo ad andare all’estero e “abbandonare” la mia famiglia per continuare il mio sogno, non so quanti come me lo avrebbero fatto.
Adesso giochi con il Campodarsego, da cosa è scaturita la scelta di scendere di categoria e accettare, comunque, un progetto ambizioso?
Mi allenavo con questo gruppo da luglio nell’attesa che arrivasse qualche chiamata, anche se poi è arrivata ma non c’erano le condizioni per percorrerla. In qualche modo dovevo mettermi in gioco e ripartire e l’unica squadra che mi dava in quel momento lì di giocare erano loro, quindi mi sono sentito riconoscente e in debito verso quella società che mi ha accudito per diversi mesi. Li ho ripagati portando la mia esperienza e la mia fame di tornare in alto.
Annata importante con il Campodarsego, siete primi in classifica e adesso manca solo l’ufficialità per l’approdo in C.
Abbiamo dimostrato sul campo il nostro lavoro. Effettivamente c’erano ancora tanti scontri diretti, ma doveva succedere una catastrofe affinchè potessimo perdere il campionato. E’ stata una bella stagione perchè tutti non se lo aspettavano, ma poi vittoria dopo vittoria è arrivata la consapevolezza di stare in alto. Società modello, negli ultimi anni il club ha sempre disputato i Play-Off e dimostrato di essere una grande squadre. Il gruppo di quest’anno è stato fantastico, nonostante c’erano squadre più attrezzate i noi, siamo riusciti a vedere le altre squadre al di sotto di noi. Sulla tifoseria, posso dire che siamo una realtà simpatica. Siamo poco seguiti, anche se abbiamo due pullman di gente anziana che ci viene a vedere sempre in trasferta. Siamo una grande famiglia.
Sul tuo futuro cosa puoi dirci?
Intanto aspettiamo l’ufficialità e tutti i ricorsi che presumo ci saranno. Per il futuro non ho idea, bisogna vedere cosa farà il Campodarsego e come sarà il calcio. Secondo me sarà un’estate parecchio calda in tutti i sensi, con squadre sempre meno e calciatori senza contratto. Staremo a vedere, sarà un casino.
Quale è stato il rimpianto più grande della tua carriera?
Non essere rimasto alla Juventus quando mi era stata data l’opportunità di scegliere. Adesso con questa testa sarei rimasto, ma a 20 anni non ci pensavo. Sarei potuto entrare in un cerchio magico, ma pazienza, è sempre facile parlare con il senno di poi.
Parlaci del tuo esordio con la maglia della Nazionale Under 21.
Che dire, indossare quella maglia è stato veramente unico. Ero in squadra con D’Ambrosio, Poli, Balotelli, Ogbonna, ragazzi che continuano a giocare tutt’ora in Serie A. Bellissima esperienza, credo che indossare la maglia della nazionale maggiore sia ancora più emozionante.
In conclusione, cosa vorresti dire a tutti quei ragazzi che si stanno affacciando al mondo del calcio e vorrebbero provare a seguire le tue orme?
I ragazzini devono divertirsi e seguire il proprio sogno, poi è già scritto nel Dna chi può fare il calciatore. Da piccolo, per me il pallone era tutto. Ho fatto diversi sacrifici, soprattutto da giovane andando a Torino da solo senza la mia famiglia. Oggi la vita da calciatore si può riassumere con sacrificio, non solo da piccolo o nei dilettanti, anche quando si arriva nel professionismo perchè devi sottostare a delle regole rigidissime. Oggi pensi ad un calciatore e pensi a soldi, ragazze e macchine, ma è sbagliato perchè non si guardano le parti negative, come la cura del tuo corpo, la pressione, il non poter perdere, i giornalisti.
Si ringraziano il Campodarsego Calcio e Cristian Pasquato per la grande disponibilità e cordialità mostrate durante tutta l’intervista, augurandogli le migliori fortune!