Se n’è andato poche ore prima che iniziasse un nuovo campionato. All’età 86 anni, di cui circa una quarantina trascorsi in panchina, Carlo Mazzone ha detto basta. Un personaggio letteralmente d’altri tempi, semplice e schietto come il calcio che ha sempre proposto, lontano da alchimie ed iperbole dei tempi moderni.
Per lui parlano i numeri: record assoluto di panchine in serie A (795) ma anche record assoluto di panchine in serie professionistiche (1278). Ma prima che di calcio è stato un maestro di vita. Non a caso è stato uno dei pochi professionisti ad essere riuscito a mettere tutti d’accordo, sia i tifosi delle squadre che ha allenato sia gli avversari.
E’ stato praticamente impossibile non volergli bene. Non ci sono riusciti nemmeno gli atalantini, a cui il sor Carletto dedicò una delle scene più incredibili mai viste sul campo di calcio, a serbargli rancore: “se famo 3 a 3 vengo sotto ‘a curva”, le telecamere carpirono chiaramente il labiale di quella promessa, espressa inevitabilmente in romanesco, quel giorno a Brescia. Detto fatto.
Era un gentiluomo ma – diceva spesso – in panchina andava il fratello gemello, quello sanguigno e troppo irrequieto. Ma piaceva appunto per la sua genuinità. Ha allenato gente del calibro di Totti e Antognoni, Pirlo e Baggio. Quest’ultimo accettò di chiudere la carriera a Brescia proprio perché c’era Mazzone in panchina. Fece addirittura inserire una clausola nel contratto che lo liberasse automaticamente in caso di esonero dell’allenatore romano.
Pep Guardiola, destinato a diventare l’allenatore più vincente della storia del calcio, lo ha sempre considerato un suo maestro. Lo invitò all’Olimpico di Roma ad assistere alla sua prima finale di Champions League nel 2009 e, alla notizia della scomparsa, si è presentato davanti ai microfoni in Inghilterra con una maglietta dedicata a Mazzone. Che in carriera non ha alzato nessun trofeo, se si esclude un anglo-italiano con la Fiorentina o l’Intertoto con il Bologna. A riprova che non sono soltanto i trofei a stabilire la bravura di un allenatore.
Le grandi imprese di Mazzone sono state le salvezze impossibili ottenute sui campi di provincia, laddove i più titolati colleghi avrebbero avuto serie difficoltà a raggiungere gli obiettivi. Ha allenato un po’ ovunque: a Firenze, a Lecce, a Catanzaro, a Bologna, a Cagliari, a Perugia, a Livorno. Ha allenato la sua Roma, squadra per la quale non ha mai nascosto la fede calcistica. Ma nel 2000, alla guida del Perugia, battendo la Juventus all’ultima giornata non si è certo crucciato di regalare lo scudetto alla Lazio.
Ha allenato per tante stagioni ad Ascoli, che è diventata la sua città d’adozione. Ha allenato anche il Napoli. Non il Napoli campione d’Italia di oggi ma quello che nel 1997/98 stava precipitando in serie B. Lo ha fatto per 4 partite, subentrando a Mutti, per poi rassegnare le dimissioni in segno di rispetto nei confronti della tifoseria. Perché quella squadra non l’avrebbe salvata neanche Carlo Mazzone.
Addio sor Carletto, Mister d’Italia.
Domenico Fabbricatore, TuttoSerieD.com