Arrivato venerdì scorso, domenica è subito risultato decisivo, realizzando, dopo essere partito dalla panchina, la doppietta con cui il suo Montegiorgio ha steso la neopromossa Matese nell’ultimo turno del Girone F. Sono molte le speranze che i rossoblù ripongono in Arturo Lupoli, ex enfant prodige dell’Arsenal di Arsène Wenger che, dopo aver esordito a 17 anni in quella che era allora conosciuta come la squadra degli invincibili (che annoverava, tra gli altri, campioni del calibro di Thierry Henry, Patrick Vieira e Dennis Bergkamp) e nell’Under 21 di Pierluigi Casiraghi, ha girato in lungo e in largo tra Italia e Inghilterra – ovvero il Paese natio e quello che lo ha adottato – fino a finire, oggi, in una piccola squadra dilettantistica del fermano, un territorio che Arturo considera ormai come una seconda casa. In esclusiva ai nostri microfoni, l’attaccante bresciano ha raccontato le sue sensazioni su questa ennesima nuova esperienza, con un piccolo tuffo nel passato e uno sguardo rivolto al futuro.
Hai già esordito col botto, siglando una doppietta che è risultata subito decisiva: te lo aspettavi?
“Uno si augura sempre di iniziare nel migliore dei modi e farlo così è stato importantissimo sia per me che per la squadra. Avevo fatto solo un allenamento, per cui ho giocato solamente il secondo tempo, ma secondo me è la maniera perfetta per cominciare e avere fiducia per affrontare le prossime partite”.
Perché la scelta del Montegiorgio? Cosa ti ha convinto ad accettare di scendere in D?
“È stata una scelta dettata da una serie di motivi: non dovevo per forza andarmene dalla Virtus Verona, perché avevo un contratto che mi legava al club ancora per un anno, ma è stata una mia decisione. Nell’ultimo periodo si erano fatte avanti diverse squadre di Serie D, tra cui il Siena, con mister Gilardino che mi ha chiamato e mi ha chiesto di aspettare un paio di settimane. La mia scelta non è stata soltanto calcistica, ma anche di vita, perché ho tenuto conto soprattutto della mia famiglia; nei miei due anni con la Fermana siamo stati davvero molto bene qui, per cui tornare in zona non poteva che farci piacere, visto che i nostri figli avevano già frequentato la scuola da queste parti. Non sono stato a guardare chi mi offriva di più, ho messo come priorità la mia famiglia e il nostro benessere”.
Quali sono le tue prime impressioni sull’ambiente montegiorgese?
“Si tratta di una società piccola, ma molto ben organizzata; le persone che lavorano qui cercano di non far mancare niente alla squadra. Sono rimasto veramente colpito dalla struttura dello stadio, il campo è tenuto bene, gli spogliatoi sono nuovi e c’è anche una nuova palestra: nel loro piccolo tutti fanno il massimo. La gente qui è molto semplice, sono tutti alla mano, già appena sono arrivato mi hanno fatto sentire subito molto importante, chiedendomi spesso se possono essermi utili. Per quelli che sono i loro parametri, è un club che fa il massimo”.
Si può dire, viste le tue precedenti esperienze ad Ascoli e a Fermo, che tu sia marchigiano d’adozione?
“Sicuramente, è una terra dove mi sono trovato veramente bene, la gente mi piace molto, ci sono bei posti, si vive e si mangia bene: penso che sia il luogo ideale per vivere con la mia famiglia. Qui non ci sono metropoli o grandi città, ma paesi sul mare dove la qualità della vita è veramente alta: dei miei anni trascorsi nelle Marche ho solo ricordi positivi”.
Deluso da com’è finita con la Virtus Verona?
“Sicuramente ci sono delle cose che non hanno funzionato: potrei dirne tante, ma sarebbe brutto andare via e fare polemiche. Penso che in ambienti come la Virtus, che è una squadra che naviga nel professionismo da un paio d’anni, l’aspetto principale deve essere quello umano, dove hai un occhio di riguardo per le persone. In quello spogliatoio c’erano, oltre al sottoscritto, giocatori come Cazzola e Bentivoglio che erano punti di riferimento per tutto l’ambiente. Quando viene a mancare la fiducia cade tutto, sia l’aspetto tecnico che il resto. Sarei potuto benissimo rimanere lì, ma nella mia carriera non sono mai rimasto in un posto dove non mi sentivo ben voluto, quindi abbiamo trovato una soluzione ed è un bene per entrambe le parti che sia finita così”.
In questi quindici anni hai compiuto un lunghissimo viaggio, da Londra a Montegiorgio, passando per piazze importanti come Firenze e Catania, tra le altre: cosa ti porti dietro oggi dei tuoi primi anni di carriera?
“Io dico sempre che forse ho fatto una carriera al contrario, perché quando arrivi ad esordire con un gol ad Highbury a 17 anni e a giocare a Wembley, ad Old Trafford e a sederti in panchina in Champions League, devi essere bravo a realizzare che il calcio non è solo quello: o fai una carriera per 15 anni in squadre come Arsenal, Manchester United, eccetera, oppure devi scendere in basso. La fortuna è stata quella di vivere comunque esperienze incredibili; forse ho avuto tutto troppo presto, sia dal punto di vista del blasone, che a livello economico. Dai 17 ai 21 anni mi è stato dato tanto, poi quando c’è stato il ritorno alla “normalità” forse ho faticato in certi momenti ad accettare alcune cose e non ho avuto la forza interiore di tornare a giocare a livelli superiori. Io dico sempre che alla fine ognuno ha la carriera che si merita, nessuno ti regala niente e nessuno ottiene di più di quello che deve ottenere. Nel calcio devi avere la fortuna di trovare allenatori che credono in te e ti valorizzano soprattutto quando non fai bene e questo è un aspetto che a me è mancato clamorosamente, perché tutti i tecnici che ho avuto da me si sono sempre aspettati che gli risolvessi la partita al primo match stagionale e questo non sempre è successo, per cui spesso sono stato messo in discussione. Delle mie quasi 400 partite, meno di un centinaio ne ho giocate per intero, questo la dice lunga sul fatto che non ho mai trovato una figura che mi abbia dato carta bianca per 7 gare di fila, forse solo a Varese e al Derby County è successo, dove ho giocato bene molti match. Non cerco alibi, se ho fatto molto bene all’inizio e meno dopo, al 99% è per demerito mio”.
Se dovessi trovare una similitudine tra il Montegiorgio e quell’Arsenal di Arsène Wenger, Henry & co, quale sarebbe?
“Difficile paragonare le due cose (ride), sicuramente il calcio è bello perché a qualsiasi latitudine e in ogni categoria, quando entri in campo ed inizia a muoversi la palla siamo tutti uguali, da Henry, che all’epoca era forse tra i tre calciatori più forti al mondo, ai ragazzi del Montegiorgio, alcuni dei quali svolgono anche altri lavori. Il bello di questo sport sono i 90 minuti della partita e l’ora e mezzo di allenamento, dove ognuno di noi lotta per la stessa cosa: succedeva a Londra e succede anche qui. È la magia del calcio, che spesso dimentichiamo che è un gioco e uno dei più bei lavori al mondo, dove a volte avvengono cose assurde”.
Per gennaio si parla già di un tuo possibile ritorno alla Fermana: ci puoi dire come stanno le cose?
“Su questo ci tengo tantissimo a puntualizzare una cosa: io ho firmato con il Montegiorgio e non ho accordi con la Fermana. Con i gialloblù c’è sicuramente un bellissimo rapporto, sia con il direttore Conti che con Andreatini, così come col resto dell’ambiente. Ancora oggi sono rimasto in contatto con molti ragazzi di quella squadra che sono diventati miei amici, li seguo e faccio il tifo per loro, ma ora sono al Montegiorgio per fare del mio meglio e per finire eventualmente qui la stagione. Poi a gennaio nessuno, purtroppo o per fortuna, sa come andranno le cose, io mi auguro di far bene e che la squadra possa essere già salva con un ottimo piazzamento in classifica, allora faremo eventualmente tutte le valutazioni, ma voglio precisare che da parte mia c’è grande rispetto per il Montegiorgio, per il quale profonderò il massimo impegno e con il quale mi auguro di finire la stagione. Poi, come ho detto, nel calcio nessuno ha la sfera magica o può sapere come andranno le cose”.
A proposito: pensi che, al terzo anno di partecipazione in Serie D, il Montegiorgio possa finalmente ambire ai play-off?
“Io mi auguro di sì: sinceramente non ho mai seguito la Serie D più di tanto, me ne hanno sempre parlato molti ragazzi, ma sentita da fuori è un conto, viverla è un altro. Tolte forse un paio di squadre, qui tutte possono arrivare quarte o allo stesso tempo ultime, quindi penso che da parte nostra si possa fare qualcosa di buono: sta a noi cercare di far bene ogni domenica, come sta a me aumentare la concentrazione e la qualità negli allenamenti, perché i ragazzi sono veramente un gruppo eccezionale che ha tanta voglia di migliorare e di applicarsi: se c’è questo, credo che non ci dobbiamo precludere nulla, fermo restando che la salvezza resta il nostro obiettivo primario. Io sono ottimista, ho visto una squadra che gioca bene a calcio e che fa cose interessanti, quindi non vedo perché una volta raggiunto il nostro scopo non dobbiamo provare ad ottenere qualcosa di più grande”.
Il sogno nel cassetto di Arturo Lupoli?
“Bella domanda questa (sorride). Il mio sogno al momento è quello di fare una buona stagione e tornare a divertirmi, facendo le cose nel migliore dei modi. Spero di trasmettere tanto a questa squadra e di vivere in modo positivo quest’esperienza: mi auguro di giocare bene e di fare qualcosa d’importante con questa maglia. Ovviamente nel calcio tutti aspirano sempre al massimo, ma io mi reputo una persona fortunata, in carriera come nella vita, perché oltre all’aspetto calcistico ho costruito una famiglia con dei figli fantastici, quindi sinceramente non chiedo niente di speciale”.
Si ringraziano il Montegiorgio Calcio e Arturo Lupoli per la cortesia e la disponibilità concesse in occasione di questa intervista.